Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

venerdì 30 settembre 2011

Citazioni/McCandless


C'è tanta gente infelice che tuttavia non prende l'iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l'animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.
Christopher McCandless, “Into the wild” (S. Penn, 2008)

giovedì 29 settembre 2011

Svastiche e odio represso

Di primo acchìto l’ho considerata una di quelle notizie a cui non dar molto peso, ed effettivamente le svastiche disegnate sulla facciata della scuola elementare Zecchetto a Vicenza, come singolo episodio, è uno dei tanti di grafomania dei soliti deturpatori imbecilli. Poi però mi è capitato di leggere il commento del mio amico Giuliano Corà, al quale, vuoi per la sua formazione fortunatamente abbandonata ma giustamente non rinnegata di comunista, vuoi perché forse toccato sul vivo in quanto maestro elementare, è scappata l’indignazione a comando, secondo me degna di ben altri e peggiori misfatti. E mi è sopravvenuta una riflessione.
Chi pensa che oggi si comincia con le scritte e domani si finisce col tracciarle con il coltello sulla faccia di un “negro” o di un “islamico”, fa lo stesso ragionamento di un qualunque Giovanardi quando dice che si inizia fumando gli spinelli e si finisce con la cocaina o l’eroina. Una deduzione statisticamente destituita di ogni fondamento. Guardiamo alla nostra società per come è, ripulendoci la testa di pregiudizi: vi pare possibile la riedizione di un movimento razzista di massa che porti ai pogrom, alla violenza squadristica, a brutalità di partito? Certo si possono moltiplicare episodi di intolleranza criminale, ma come sfogo di qualche squilibrato, non come opzione politica e organizzata su vasta scala. E questo perchè la società dei consumi, globalizzata, americanizzata, innocuizzata, slombata e devitalizzata dal benessere e dalla televisione, attutisce e anzi cerca in tutti i modi di spegnere alla fonte il sentimento dell'odio. L'odio sociale, per poter tradursi in azioni di offesa, in violenza vera e propria, deve trovare una spinta abbastanza forte e una giustificazione ideologica (un'idealizzazione, tipo i nazisti che consideravano gli ebrei nemici del popolo tedesco, inferiori, non umani). Siamo realisti: non c'è nè l'una nè l'altra. E non mi venite a parlare della Lega, perchè il razzismo di fondo della Lega è quello del bottegaio e del padroncino pauroso e ossessionato dal conto in banca, che davanti a un gruppo di africani incazzati se la farebbe addosso. Tanto è vero che in tutti questi anni, il massimo che la Lega ha fatto è stato la Bossi-Fini, nemmeno lontanamente paragonabile alle leggi di Norimberga che portarono alla Notte dei Cristalli e poi all'Olocausto.
Il guaio vero è che senza odio non c'è rivolta, e senza rivolta non c'è liberazione. L'odio serve. Ovviamente se ben giustificato. Non certo, quindi, dal razzismo o dal neonazismo. Ma oggi siamo in tempi per cui certi simboli, come la svastica, non sono neanche ben compresi, credo addirittura neanche conosciuti nella loro storia. E' come quando da ragazzini ci si diverte facendo scherzi atroci. Viviamo in una società di eterni adolescenti, mediamente ignoranti e indotti ad essere irresponsabili. Più che di inesistenti pericoli neonazi, io mi spaventerei per questa mancanza di serietà, di gravità, di spirito di contrasto e avversione. Tutto deve andare bene, procedere bene, tutti volerci bene, nessun malanimo, nessuna idea troppo fuori posto, e quindi nessun odio. Quelle scritte sono come la spia che l’inconscio collettivo ha un disperato bisogno represso di miti e storie negative, truci, violente. E' il meccanismo psicologico della compensazione: si prova attrazione, puramente irrazionale, per ciò che manca, che è compresso, che non viene riconosciuto dalla coscienza, e che invece, se incanalato e ritualizzato, potrebbe essere usato per scopi benefici (questa è la vecchia cara saggezza pagana che il cristianesimo ha cercato di nascondere e cancellare e in gran parte, purtroppo, ci è riuscito). Ma non c'è alcun rischio serio di una persecuzione razziale, questo no. E' solo che il nazismo nel nostro immaginario odierno simboleggia il male assoluto, e come tale viene sfruttato per esprimere, seppur confusamente e stupidamente ma non senza ragione, un bisogno profondo di rappresentare il male che è in noi, in tutti noi. Il bene e il male, diceva Eraclito, sono invece connessi l’uno all’altro. Se ne schiacciamo uno, come insegna la psicologia analitica, l’altro fuoriesce comunque, e alla lunga si vendica. (a.m.)

mercoledì 28 settembre 2011

Il Comma 29, l’ammazza-blog


Infilata subdolamente nel ddl sulle intercettazioni, ecco rispuntare la norma ammazza-blog: il comma 29. Cosa prevede? In base all’obsoleta legge sulla stampa del 1948, impone a chiunque abbia un sito d’informazione l’obbligo di rettifica entro 48 ore, senza commento, pena una sanzione che può arrivare a 12.500 euro. E cosa c’è di liberticida in questo?, chiederete voi. C’è che, escluse le testate giornalistiche e le vetrine di personaggi con staff apposito, ad un comune blogger può accadere quel che ricorda il bravo Claudio Messora sul suo Byoblu: «può capitare di essere assente per qualche giorno da casa, di avere il computer rotto, di avere la connessione alla rete disattivata, di essere in vacanza, e poiché non ha una redazione, una qualsiasi richiesta di rettifica pervenuta nel momento sbagliato significa una condanna a vendere la macchina o a ipotecare la casa». Chi, se non ha i mezzi, potrà permettersi il lusso di esternare ciò che pensa col rischio di dover pagare una multa salata seduta stante?
Per punire diffamatori, calunniatori e falsificatori esistono già un codice, delle leggi e lo strumento della querela. In casi estremi la magistratura già oggi può arrivare al sequestro di un blog per impedire che il reato di lesione della reputazione altrui possa ripetersi. Insomma, con il mezzuccio di equiparare ogni piattaforma su Internet ai giornali, che hanno strutture e risorse finanziarie, si ottiene una cosa sola: tagliare le gambe alla libera circolazione delle idee e delle notizie. Un altro colpo di piccone al residuo, presunto liberalismo di questa nostra democrazia, o sedicente tale. (a.m.)

martedì 27 settembre 2011

Veneto City, una speculazione assurda


Vogliono costruire l’ennesimo mostro. E’ Veneto City: una megalopoli commerciale di 715 mila metri quadrati nella campagna tra i comuni di Dolo e Pianiga, sulla Riviera del Brenta. Uffici, negozi, bar, ristoranti e alberghi per un valore immobiliare di 2 miliardi di euro: un’operazione colossale dietro cui ci sono nomi noti come Luigi Endrizzi e Rinaldo Panzarini, rispettivamente presidente e direttore di Veneto City spa (nel cda siedono, fra gli altri, Giuseppe Stefanel e Fabio Biasuzzi), il primo autore della concentrazione di supermercati attorno all’Ikea di Padova est, l’altro amministratore delegato di Est Capital, società finanziaria in prima fila nella cementificazione del Lido di Venezia. La storia del ciclopico progetto inizia nel 1998 quando Endrizzi acquista il primo lotto di terreno pari a 400 mila metri quadrati, nel silenzio compiacente della Provincia di Venezia allora governata dal centrosinistra. Successivamente il Piano territoriale regionale ha dato luce verde senza neppure una valutazione ambientale strategica. Il 29 giugno scorso l’accordo di programma fra i privati e i comuni di Dolo e Pianiga, entrambi con giunte di centrodestra, che si spartiranno una torta di 50 milioni di euro per i permessi di costruzione, 3 milioni per opere di compensazioni non ancora definite e la promessa di 7 mila posti di lavoro. A firmare il cantiere, che dovrebbe cominciare l’anno venturo e durare 8-10 anni, una nostra conoscenza, l’architetto Mario Cucinella, lo stesso del vicentino Green Way, altrimenti detto Pp10 parte seconda.
Il fronte contrario, il cui nerbo è costituito dagli agguerritissimi Cat (Comitati Ambiente e Territorio), è sul piede di guerra dal 2007. Nei mesi scorsi hanno intasato gli uffici tecnici dei due comuni con ben 10.500 osservazioni, con un lavoro di ostruzionismo formidabile ma, a quanto pare, inutile. A loro si sono aggiunti la Confesercenti di Padova, Legambiente, Confagricoltura e i partiti di opposizione in Regione, l’Idv, Rifondazione, l’Udc e il Pd (che un po’ di coscienza sporca ce l’ha, come abbiamo visto). Tutti insieme stanno organizzando una marcia di protesta, divisa in due cortei uno con base a Mira e l’altro con partenza da Padova, per portare 11 mila firme ai Comuni, alla Provincia e alla Regione.
Il senso, o meglio il nonsenso, dell’obbrobrio Veneto City lo ha spiegato alla perfezione Antonio Draghi dei Cat: «Il mostro di Veneto City è una speculazione edilizia di dimensioni gigantesche. Probabilmente la più grande d'Italia. È fondata sulla massima esaltazione della rendita fondiaria. In estrema sintesi: si cambia la destinazione d'uso di un'area di 2,5 milioni di metri quadri da agricola a edificabile. Zero rischio di impresa. Basta l'indice urbanistico ad ottenere i crediti in banca. E così, società con appena 10-30 mila euro di capitale ottengono la complicità dei Comuni che mirano a incassare qualche centinaia di milioni in oneri di urbanizzazione. Ma dov'è la pubblica utilità? L'accordo di programma parla di urgenza e indifferibilità per questo progetto assurdo. In cosa consistono, se non nell'interesse dei privati?» (Il Manifesto, 14 settembre 2011). Le alluvioni non hanno insegnato nulla: si continua a spargere cemento. Il default greco e la recessione mondiale sono lì a spaventarci ma si va avanti con gli stessi metodi di prima: speculando, e per giunta sulla terra. La disoccupazione dilagante e le tasche vuote dei consumatori non dicono nulla a questi apprendisti stregoni che rincorrono stoltamente l’espansione dello shopping: se il megacentro non si riempirà di clienti e se l’economia non girerà, come verranno garantiti i posti di lavoro nei negozi e gli affari tutti sulla carta? E’ l’assurdità criminale della logica speculativa: si divora il futuro per un guadagno facile e immediato. Benvenuti nel Nordest che non impara niente (in buona compagnia: dall’America all’Europa passando per il Fmi e i governi marionette delle banche, è un imperterrito perseverare nel peccato originale di questa crisi: lo sviluppo per lo sviluppo, il debito che si aggiunge a debito, ipoteche su ipoteche che ci condannano a vita). (a.m.)

lunedì 26 settembre 2011

Latouche più radicale di Marx

Ieri è uscita un’intervista al marxista Giacomo Marramao sul quotidiano comunista Liberazione in cui il filosofo italiano si contrappone al francese Serge Latouche, padre della “decrescita” serena o felice che dir si voglia. In sintesi, l’obiezione di Marramao è sempre la solita: non è lo sviluppo economico in sé ad essere un male da combattere, ma solo la sua diseguale distribuzione, cioè lo sfruttamento di classe: «penso che dobbiamo parlare invece di uno sviluppo diverso, di tipo tecnologico che favorirebbe la diminuizione delle ore lavorative, come diceva il caro vecchio Marx. Più scienza, più ricerca, più tecnica». Ma l’epigono del barbuto di Treviri si spinge più in là e tenta un’operazione un po’ subdola: intende neutralizzare la portata dell’intero discorso dell’ex sinistrorso Latouche, ascrivendo al marxismo la tesi latouchiana secondo cui l’economia, intesa come accumulo di ricchezza, è un’invenzione ideologica per niente naturale bensì artificiosa e, a conti fatti, nemica dell’uomo. Sostiene Marramao: «La formula che utilizza Latouche, “l'invenzione dell'economia”, mi sembra insomma tutt'altro che antimarxiana. Il mercato capitalistico è il risultato dell'artificio culturale della naturalità. Questo è Marx puro. Il capitalismo passa per un evento naturale ma in realtà è un prodotto storico-culturale determinato».
Premessa: non sono un marxologo né vanto le competenze filosofiche di Marramao. Mi limito a dire la mia da dilettante, che è questa: l’interpretazione di Marramao non coglie l’essenza della riflessione di Latouche, che per me è etica. Essere contro l’ideologia della crescita infinita è una scelta di campo che ha il suo perché nel senso di giustizia. E la giustizia, a sua volta, si individua e si fonda sul senso, prettamente antico, del limite, poi stravolto dall’escatologia cristiana e dalla sua secolarizzazione illuministico-borghese. Secondo i marxisti, invece, la giustizia sociale discende dall’uguaglianza, ed essi la intendono, col loro materialismo storico (struttura e sovrastruttura), come un fatto anzitutto economico. E con ciò riducono al dato economico l’intera esistenza umana. Latouche, al contrario, e nel seguito dell’intervista lo ricorda lo stesso Marramao, recupera l’idea di saggezza, ovvero di una sapienza maturata col tempo, fatta di pesi e contrappesi, di rispetto delle leggi naturali, incentrata sull’equilibrio fra le parti. Un concetto ignoto al marxismo, che essendo un prodotto della modernità nella sua variante proletaria ambisce ad un egualitarismo livellatore e tragicamente opprimente, nonché storicamente impossibile (l’Urss è crollata per le divisioni, di reddito e di potere, che la corrodevano al suo interno). Il trucchetto di Marramao è respingere l’anti-sviluppismo radicale del pensatore francese ma nel contempo mostrare la sua filiazione spuria da Marx limitandosi a dire che il capitalismo non è naturale. Certo che non lo è, e anche Latouche ne è convinto. Solo che Latouche ne è convinto perché pensa che l’intera sfera economica come ricerca dell’utile sia innaturale e abbia esondato dai confini che proprio le sovrastrutture disprezzate dai marxisti le avevano assegnato. Insomma Latouche è un anti-economicista e anti-utilitarista, mentre Marx e i suoi ultimi allievi sono “solo” anti-capitalisti, se la prendono col capitale e il profitto là dove è l’intero immaginario dell’eccedenza come eccesso il bersaglio della critica latouchiana. Lo ammette, dandosi la zappa sui piedi, lo stesso Marramao: «Latouche usa il termine “utile” laddove, a mio parere, andrebbe usato il termine “profitto”. Ad ogni modo, la crescita illimitata non è una variabile dipendente dell'utile. Le società del mondo antico, una volta realizzato l'utile per la comunità, erano soddisfatte di sé e puntavano alla conservazione». Latouche, e nel mio piccolo io con lui, non ha nostalgie per un passato che non può tornare. Ma ricava da esso un insegnamento che è attualissimo: la liberazione dalla dittatura del mercato non passa attraverso fallimentari e riduttive ricette redistributive e neo-collettiviste, ma dal rifiuto tout court di un modello culturale e valoriale fatto di carta straccia, cioè di denaro, e della demoniaca sete di dominio che spande su ogni espressione di vita. Il buon vecchio pregiudizio, anche un po’ moralistico, per il vile denaro e per chi lo maneggia: questo è davvero rivoluzionario, oggi. (a.m.)

domenica 25 settembre 2011

Non pagare il debito


Un anno fa la Grecia era in rosso per 110 miliardi di euro. L’hanno “salvata”. Adesso il debito è salito a 340 miliardi. Non so se la ri-salveranno, ma, in tal caso (e non è una battuta di spirito, perché la Finlandia proprio questo ha chiesto) dovrà dare in pegno il Partenone. A riprova che i “nove banchieri” di Wall Street amano molto le collezioni private. Non so dove lo metteranno, il Partenone, ma troveranno un posto, magari vicino a San Diego, California. Il problema è che adesso tocca a noi. Chiederanno in pegno il Colosseo, o la Galleria degli Uffizi. E non basterà, perchè il nostro debito pare sia superiore ai 1.900 miliardi di euro.
Dicono che dobbiamo privatizzare tutto. Arriveranno a comprare ai saldi con i denari fasulli, creati con un click sul computer, con cui hanno gonfiato il debito mondiale fino a cifre astronomiche, che nessuno è più in grado di pagare.
Ho pubblicato i risultati di un Gao (Government Accountability Office) Audit sulla Federal Reserve , il primo e unico mai effettuato sulla prima banca planetaria nei suoi circa 100 anni di storia, dal quale emerge che, tra il 2007 e il 2010, la Federal Reserve ha spalmato 16 trilioni di dollari su tutte le più importanti banche occidentali, non solo su quelle americane.
L’Audit è stato fatto da due senatori americani, Bernie Sanders e Jim Demint, e chi vuole se lo va a leggere sul sito di Sanders. Qualcuno si è scandalizzato per il mio “complottismo”. Sfortunatamente non sono io che complotto. L’operazione è stata definita, dallo stesso Sanders, del tutto illegale.
Tredicimilamiliardididollari inventati e inviati illegalmente a tutte quelle banche? E perchè? La risposta è una sola: perchè tutte quelle banche sono fallite. Ma non lo si poteva dire. Quindi si è rimessa la benzina nel loro serbatoio. E, con quella benzina, il debito (nostro) ha  ripreso a crescere. John Kenneth Galbraith definì questa come "economia della truffa". Se potesse resuscitare, adesso riderebbe. Forse, da qualche parte, lo fa. Ma riderebbe di noi se pagassimo il debito di quei nove balordi che si riuniscono a Wall Street, in segreto, per renderci schiavi.
Giulietto Chiesa
Il Fatto Quotidiano online 22 settembre

venerdì 23 settembre 2011

Sicurezza, il quadrilatero della demagogia

Avevo scritto che il centrodestra dorme beato facendo un’opposizione all’acqua di rose. Quando si decide a muovere contro l’amministrazione Variati, però, attacca a sproposito. Giovedì 29 settembre il Pdl marcerà nel quadrilatero della micro-criminalità, Campo Marzo-viale Milano-via Torino-via Firenze, a rimorchio di un’iniziativa della sua sezione juniores, la Giovane Italia, braccio armato dell’assessore regionale Elena Donazzan (nella foto). La zona è infestata di spacciatori, balordi, rissaioli, in genere immigrati, non di rado clandestini. Le ricorrenti retate delle forze dell’ordine servono a poco: ripuliscono le strade per un giorno e quello successivo il pus si riforma tale e quale.
Giocoforza: per estirparlo bisognerebbe avere i mezzi. Parlo di risorse sufficienti per una sorveglianza degna di questo nome e di leggi degne di questo nome che non rimandino a piede libero i delinquenti e gli irregolari. Invece la situazione è che i sindacati di polizia sono imbufaliti col governo Berlusconi per aver tagliato senza pietà il settore della sicurezza, e che abbiamo una legge Bossi-Fini tanto dura quanto inconcludente. In barba ai proclami elettoralistici, il centrodestra che sta a Palazzo Chigi non ha dato seguito concreto alla tanto sbandierata promessa di garantire l’ordine pubblico. I poliziotti di quartiere, ad esempio: qualcuno se li ricorda più? Hanno prodotto miglioramenti significativi? E le ronde della Lega (che il centrosinistra qui a Vicenza voleva imitare, sia pur con il crisma ufficiale del Comune): che fine hanno fatto?
Ha ragione il segretario provinciale del Pd, Federico Ginato: i chiacchieroni del Pdl dovrebbero prendersela con sé stessi, o meglio col loro scalcinato e fallimentare governo. Il sindaco Variati non ha nessun potere di intervento operativo contro la delinquenza, che è esclusivo compito di magistratura, polizia e carabinieri snidare e perseguire. La verità è che il centrodestra punta a bonificare l’area dagli immigrati, cominciando col togliere le licenze ai commercianti di origine straniera che in gran numero si sono insediati negli anni. Ma se le attività sono in regola, se le abitazioni si spopolano e vengono occupare da immigrati, generando una reazione a catena che deprezza il valore degli immobili inducendo alla fuga degli italiani, se vendere alcolici nei bar non è ancora reato, tutto ciò non può essere addebitato come colpa alla giunta in carica, di qualunque colore politico sia. Variati ci ha anche provato a fare la faccia feroce, emanando un’ordinanza inutile che costringeva i negozianti a chiudere i battenti secondo un orario da coprifuoco. Ma non è legalmente e socialmente pensabile trasformare un intero pezzo di città in un quartiere-fantasma.
Semmai si dovrebbe agire in senso contrario: rendendolo più vivibile, con spazi culturali e di socialità, magari destinati apposta agli immigrati. Aspettando il nuovo municipio che sorgerà proprio lì in zona, l’unico strumento che ha in mano il Comune è rivitalizzare coinvolgendo prima di tutto loro, gli extracomunitari. Qualcuno si degna di ascoltare cos’hanno da dire? Oppure, tolta la destra che rimesta stancamente in un vago razzismo, anche la sinistra è capace solo di blaterare di consigli dei migranti invece di produrre fatti? Il senso finale è che sulla sicurezza fanno tutti demagogia a buon mercato, e i cittadini residenti continuano a fare i conti, da soli, col piscio, gli accoltellamenti, la droga e gli ubriachi molesti sotto casa. (a.m.)