Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

martedì 27 dicembre 2011

Il gusto della polemica

A Vicenza, come ha dimostrato questo articolo di Giuliano Corà sulla Nuova Vicenza – che, al di là dell’opinione in sé, non era comunque nulla di particolarmente dinamitardo – il ruvido piacere della polemica giornalistica è considerato un peccato mortale, persino dai laicissimi e anticlericali sinistri più a sinistra. Mi pare interessante, quindi, pubblicare questo articolo di oggi di Marco Travaglio. Così, per il gusto di un po’ di sana e giustificata cattiveria. (a.m.)

Tu lecchi dalle stelle
Per sua fortuna Giorgio Bocca era sedato da una settimana. Così sabato, l’ultimo sabato della sua vita, gli è stata almeno risparmiata la lettura dei giornali (“è la cosa più deprimente”, mi aveva confessato sconsolato l’anno scorso, l’ultima volta che l’avevo intervistato per il Fatto). Già, perché i quotidiani della vigilia di questo Natale andrebbero affissi nelle scuole di giornalismo, per illustrare la crisi di identità di un mestiere un tempo glorioso che non sa più quel che fa, né perché.
Natale in casa Cazzullo
Non contento del Leccone d’Oro 2011 honoris causa che si era aggiudicato con l’intervista dell’antivigilia al cardinale Scola, la guardia svizzera Aldo Cazzullo scatta in fuga solitaria per
vincere il premio anche l’anno prossimo. E inaugura sul Corriere un nuovo genere giornalistico: l’editoriale-sermone. Roba che, al confronto, gli articoli dei tanti scrittori in tonaca, dal cardinal Martini al priore Bianchi al vescovo Forte, sono capolavori di laicità. Titolo: “Più fiducia in noi stessi”. Svolgimento: “È il Natale più difficile, forse più amaro degli ultimi anni... Eppure c’è un regalo che tutti quanti noi possiamo farci, c’è un tesoro nascosto nel fondo della crisi italiana. Non lo si trova nelle vetrine, non lo si può impacchettare, ma questo non diminuisce il suo valore, anzi. È la fiducia in noi stessi, nell’immenso potenziale di cultura, lavoro e sviluppo del nostro Paese. Che, com’è sempre accaduto nei momenti difficili se non drammatici riesce a dare il meglio di sé”. Più che un giornalista, Cazzullo è motivatore, mental coach, personal trainer della Nazione tutta. E s’immola come pennone umano a cui appendere la bandierina tricolore: “L’anno che si chiude sarà forse ricordato come l’avvio di una nuova ricostruzione... I principali partiti – bene o male – collaborano per uscire dall’emergenza”. Ma anche un po’ pompiere: “Il Paese s’è ritrovato unito, oltre le contrapposizioni pregiudiziali”. E pure corazziere: “L’anniversario dei 150 anni è stato un successo. Ci si è resi conto che davvero – come ci hanno insegnato Ciampi e Napolitano – siamo più legati all’Italia di quanto amiamo riconoscere”. E psicoterapeuta: “È dentro di noi che dobbiamo ritrovare la serenità e la fiducia di cui i nostri padri furono capaci”, perché siamo pur sempre “il Paese simbolo della creatività, del design, della fantasia, dell’arte, dell’estro, del gusto per il bello” (insomma un popolo di santi, poeti, eroi e navigatori). E ambasciatore, anzi piazzista: “Pensiamo alla grande domanda di Italia che c’è non soltanto nel resto d’Europa o in America, ma anche nel mondo di domani: a quanti cinesi, indiani, brasiliani vorrebbero vestirsi come noi, comprare i nostri prodotti, adottare il nostro stile di vita”. Suvvia, basta andare in Cina, in India, in Brasile, in America, per non parlare del resto d’Europa, per venire assediati da nugoli di persone che fin dalla più tenera età ti corrono incontro e ti implorano: “Ti prego, non resisto, voglio andare in fallimento come l’Italia! Il mio sogno è uno spread a 515! Non vedo l’ora di avere deputati come Dell’Utri e Scilipoti, ministri come Romano, sottosegretari come Cosentino, presidenti del Senato come Schifani! Perché voi avete la Cirami, la Cirielli, il lodo Alfano e noi no? E, già che ci siamo: non è che m’insegneresti a vestirmi come Cazzullo?”.
Giorgio, in arte Dickens
Non bastando la cazzullata, il Corriere raddoppia con due pagine di intervista a Giorgio Napolitano, sobriamente intitolate “L’orgoglio ritrovato di un grande Paese”. Anzi, più che un’intervista, “il racconto nazionale del Presidente”. Direttamente dal Colle, molto meglio del superato racconto di Natale di Charles Dickens, ecco il “racconto nazionale” di Sir George, pregno di trovate scoppiettanti e soprattutto sorprendenti: “L’arma vincente della coesione sociale e nazionale”, “ce la faremo, usciremo dal tunnel”, il “cemento unitario”, “una lezione secca per gli scettici”, uno “scatto di dignità e orgoglio nazionale”, ma anche di “quella coesione e unità fra gli italiani cui dobbiamo guardare come all’arma vincente per superare le sfide del presente e del futuro”, insomma “un bisogno di riaffermazione di quel che siamo, come grande nazione e come moderno Stato europeo”, “l’occasione per far nuovamente sentire più forte il nostro ruolo in Europa e nel mondo”. È stato quando il Parlamento stabilì che Ruby è la nipote di Mubarak, o più probabilmente quando il premier definì la Merkel “culona inchiavabile”, o quasi certamente la settantesima volta che Bossi alzò il dito medio e fece la pernacchia. Lezioni secche, riaffermazioni forti, cemento unitario e soprattutto coeso. Prrr.
Cip, Ciop e Napo orso capo
Cambio di vocale ed ecco un altro Dickens de noantri, Roberto Napoletano, il prosperoso direttore del Sole 24 Ore, che firma uno psichedelico Memorandum nell’inserto culturale del suo giornale. Titolo: “Piccoli grandi valori in una manciata di noci”. “Non so se sia colpa della mia testa...”, premette. Poi s’incarica di dimostrare che sì, dev’essere proprio colpa della sua testa: “Certo è che mi viene prepotentemente in mente, in questi giorni, una storia di uomini e donne che si lanciano secchi e muovono le mani con gesti rituali e veloci tra un solco e l’altro pieno di noci e nocciole...”. L’infermeria del Sole 24 Ore entra in subbuglio, i sani-tari cominciano a domandarsi quale fungo abbia leccato il direttore. Che intanto prosegue inarrestabile: “Ad ‘abbacchiare’ le noci o a raccogliere le nocciole, le mani si spellano, si macchiano, diventano di una certa maniera”. Ecco, di una certa maniera. “Un uomo sui 50 anni segue il gruppo con una specie di scopa in mano. Ammassa le foglie che gli altri lasciano indietro. C’è chi rimuove i sacchi, si solleva una nuvola, poi scompare, poi ritorna, poi scompare”. Che il direttore abbia mangiato più pesante del solito? Ah no: “A questa scena ho assistito da ragazzo, di prima mattina, dal terrazzo di casa mia, a Nola, in un settembre nuvoloso”. E non se n’è più riavuto. “La più anziana del gruppo raccoglie una manciata di noci, alza lo sguardo e dirige gli occhi dalla mia parte, dice che mi vuole fare un regalo e, incurante delle mie resistenze, lancia sul terrazzo un pugno di noci”. Ecco svelato l’arcano: una noce deve averlo colpito in piena fronte, riducendolo così come lo vediamo. Ma senza purtroppo privarlo del dono della scrittura: “La mia favola di Natale è questa piccola storia vera che ci parla, attraverso le noci che stanno oggi sulle nostre tavole, di dignità del lavoro, della gioia del dono e di quell’autenticità che sanno esprimere le persone e i gesti più semplici. Piccoli e grandi valori di cui abbiamo terribilmente bisogno”. Lo portano via.
No Martini no Christmas.
Il povero cardinal Martini è da tempo malato di Alzheimer, eppure non c’è verso che lo lascino in pace. Sabato, fra rubriche della posta (sul Corriere), interviste (su La Stampa) e dialoghi con Scalfari (Repubblica), era su tutti i giornali, praticamente a edicole unificate. La Stampa tenta di trasformarlo in cappellano del governo tecnico, con un’apposita domanda sul “valore della sobrietà” (del resto, titola in un’altra pagina il quotidiano torinese, “Niente ferie per i ministri. Anche gli ex contagiati dalla sobrietà”). Scalfari va a trovarlo fino a Gallarate per poi molestarlo con domande del tipo: “Qualche volta penso che lei speri di convertirmi... È questo che lei si propone?”. Martini, con un fil di voce: “No, ma non posso escludere...”. Come dire: ma lo sa che lei è un bel tipo? Guardi che ci è venuto lei, io me ne stavo tanto bene da solo...
Marketting
Scaricata la coscienza con qualche geremiade contro il Natale consumistico e pagano, giornalisti gastronomi, sommelier, stilisti, personal shopper e dog sitter si scatenano con paginate di pubblicità camuffate da consigli per regali, viaggi e menu da cenone: praticamente marchette. Memorabile Laura Pausini a Repubblica-agenzia Stikazzi: “Lo shopping io lo faccio con un clic”. Strepitoso l’inserto del Corriere: dopo due orrendi racconti di Tamaro e Piccolo, spiega che l’ideale è andarsene in Lapponia “tra alci e paesaggi innevati”. Vacanza sobria a -30 gradi. Poi due pagine sul panettone, un dotto intervento della psicoterapeuta su “Come dire al bambino chi porta i pacchetti?”, un paginone di consigli per “le ultime 12 ore prima del cenone” a chi non ha una mazza da fare (“colazione, corsa, spuntino, maschera al viso, pranzo leggero, passeggiata a bassa intensità, bagno di relax, acconciatura”) e un altro, da non perdere, su “cosa dirsi a tavola, ai brindisi o per gli auguri”. Già, cosa dirsi? “Sì ad alta cucina e animali, no allo stile social network”. Per esempio “Veltroni sta leggendo un altro libro sui gatti, Cleo, storia rasserenante di una gatta temperamentosa”. Rasserenante soprattutto per gli elettori.
Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 27 dicembre 2011

giovedì 22 dicembre 2011

Natale pagano

Il Natale non fa tutti più buoni: fa tutti più vuoti. Il cristiano che fa shopping di regali e strenne natalizie rappresenta un caso di sdoppiamento della personalità: in tutta buona fede crede che Gesù nacque figlio di Dio a Betlemme, segnando in una stalla lo spartiacque decisivo della storia umana; contemporaneamente, è perfettamente cosciente che tale evento non condiziona la sua vita reale, in quanto l’epoca moderna, disincantata e secolarizzata, è scristianizzata. Siccome l’economia tende a inglobare ogni forma di espressione umana, quegli appuntamenti che nonostante tutto mantengono in vita una sia pur debole fiammella di fede ultraterrena si trasformano in orge di bancomat e scontrini. Babbo Natale e l’albero dei doni, americanizzazioni di antichi miti pagani europei, vincono sul Bambinello e sulla Vergine, perché più adatti a innescare la corsa agli acquisti commerciali.
Questo lo sa benissimo anche il devoto che va alla messa notturna del 25 dicembre, e lo accetta di buon grado. Per quieto vivere, perché così fanno gli altri, per abitudine. Ma soprattutto perché, dopo due secoli di sistematica estirpazione del sacro dall’esistenza quotidiana, non riesce a percepire il divino. E lo sostituisce malamente con una fedeltà a riti di massa che non sono morti solo perché una parvenza di tradizione spirituale serve ad appagare il bisogno innato di trascendenza e di comunità. E’ la sensazione di una notte, sia chiaro. Per il resto c’è la carta di credito.
Eppure quel bisogno preme, non si dà pace, è insoddisfatto. Non è umanamente sostenibile una religiosità circoscritta a qualche giornata di contrizione ipocrita, o, bene che vada, alla particola domenicale. E’ nelle difficoltà di ogni giorno che al comune ateo travestito da credente manca la forza rassicurante e rigenerante del divino, del numinoso. L’aura sacra che un tempo avvolgeva ogni momento del nostro passaggio sulla terra si è eclissata, scacciata con ignominia dalla spasmodica ricerca di ritrovare in tutto una causa dimostrabile.
La morte di Dio ci ha lasciati soli con una tecnica scientifica che ha razionalizzato la natura mortificandola, e con una logica economica che va per conto suo, incontrollata e disanimata, rubandoci la libertà di cambiare il corso della storia. Siamo soli col denaro, vero nostro Signore. Dice bene Sergio Sermonti, scienziato anti-scientista – un apparente ossimoro che gli è costato l’ostracismo pubblico: «Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un “perché”) e quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni incantate il più raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non, al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi» (“L’anima scientifica”, La Finestra, Trento, 2003).
Per recuperare il senso del divino, il cristianesimo ormai serve a poco. E’ troppo compromesso con la modernizzazione, essendosene spesso lasciato usare come puntello e bandiera. Le Chiese sopravvivono nell’acquiescenza allo stile di vita radicalmente anticristiano dell’uomo consumato dai consumi. In particolare i Papi, incluso l’ultimo, il tradizionalista Ratzinger, si sono arresi a Mammona, e non c’è un prete a pagarlo oro che si scagli contro i moderni mercanti nel tempio: preferiscono i facili anatemi sulle unioni omosessuali e le comode prediche sulla fame in Africa. Il cristiano ha dimenticato il pauperismo di San Francesco d’Assisi, ha rinnegato l’umanesimo dei pontefici rinascimentali, ha sepolto l’antimodernismo del Sillabo, con Lutero e Calvino è stato all’origine stessa dell’etica capitalistica. Si è adattato al materialismo con il Concilio Vaticano II e allo showbusiness con Giovanni Paolo II: rinunciando alla lotta contro il mondo, non costituisce nessuna minaccia per il MacWorld. Anzi gli fa da angolo cottura spirituale.
Da chi o da cosa, allora, può venire un aiuto per liberare la divinità prigioniera che scalpita dentro di noi? L’ostacolo viene dal fatto che il cosiddetto progresso, scomponendo razionalmente la natura e violentandola nell’insaziabile tentativo di piegarla, l’ha resa muta e l’ha eliminata dalla nostra esperienza quotidiana. Da un lato non ci fa più alcuna paura, la paura ancestrale che è il moto d’animo originario di qualsiasi cultura. Dall’altro l’elemento naturale, incontaminato o non del tutto antropomorfizzato (com’erano ancora le vaste campagne nell’Ottocento e nel primo Novecento) si è via via ristretto e diradato. E’ letteralmente scomparso dalla nostra vista.
Oggi la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive concentrata come formiche in centri urbani sovraffollati, dove il verde è rinchiuso in minuscole riserve talmente artificiose che la regola è di non calpestare le aiuole. I bambini non fanno più conoscenza con la terra perché non ne hanno più sotto casa, non s’incuriosiscono scoprendo insetti e animali perché abitano circondati dal cemento e non si sporcano nemmeno più, perché passano il tempo ipnotizzati davanti a computer, televisione e videogiochi. Nei weekend o in vacanza le famigliole si recano diligentemente al mare o in montagna, ma a parte qualche bagno o escursione, inquadrati in ferie organizzate a puntino con tutti i comfort, il contatto con le forze naturali è minimo, povero, addomesticato. Sempre insufficiente a resuscitare una risonanza interiore fra l’io individuale e il cosmo, fra il sentimento della propria limitatezza personale e il sentimento di appartenere al tutto, all’organismo della vita. E’ in questa corrispondenza che si può provare la percezione che in un orizzonte, in un albero, in un filo d’erba, in un soffio di vento, in ogni singolo nostro respiro esista un’anima, cioè un dio. Ma se non si sperimenta in sé questa immediatezza, anche il discorso più ispirato resta lettera morta, una pia intenzione romantica.
La gioia im-mediata di sentirsi partecipe di un grande Essere ci è preclusa dal sovraccarico di costruzioni mediate, razionalistiche, cervellotiche e meccaniche con cui abbiamo imparato a guardare e toccare ciò che ci circonda. Questa è la malattia che ci portiamo addosso: l’eccesso di ragionamenti che desertifica il nostro bosco profondo. L’uomo scettico e che la sa lunga ha orrore della naturalità nuda e pura, e se non può manipolarla con la sua scienza maniacale e coi suoi aggeggi tecnologici, la respinge, dipingendola come un caos di animalità bruta e senza controllo. Ma basta uno tsunami, un terremoto o l’esplosione di furia omicida (anche questa è “natura”) per rendergli la pariglia e mostrargli che Madre Terra, vilipesa e umiliata, è sempre lì, pronta a risvegliarsi.
Scegliere consapevolmente di risvegliarla non è possibile, per ora, nemmeno nel privato del proprio foro interiore. Il salto è accessibile solo a una condizione, oggi impraticabile a livello di massa: il ritorno a un sistema di vita più semplice e scandito dai ritmi naturali. Eppure, se tu che mi leggi non cominci almeno a porti il problema, l’impossibile resterà impossibile per sempre. (a.m.)


martedì 20 dicembre 2011

Siamo uomini o numeri?

L’intervista sul Corriere di ieri del ministro del welfare Elsa Fornero (qui) è agghiacciante. Le sua lacrime si sono rivelate quel che erano e sono: lo sfogo di una tecnocrate intenta a distruggere la vita, le speranze e i sacrifici di milioni di italiani con la buona fede del boia.
A parte i vari punti tecnici su particolari categorie e calcoli ragionieristici, questa Thatcher in sedicesimo  sostiene cinque tesi fondamentali. 1)«la pensione si commisura alla speranza di vita». Innalzare la soglia del pensionamento segue le statistiche e non l’esistenza concreta degli individui. Paradossalmente, se l’aspettativa di vita dovesse crescere ancora, in teoria si dovrebbe accedere alla pensione a 75, 80, 90 anni. Naturalmente – e fortunatamente – la scienza medica non è arrivata né arriverà a garantire tanto. La questione è un’altra: con gli acciacchi e le malattie della vecchiaia, i soldi di una pensione tendenzialmente sempre più posticipata serviranno praticamente a pagare le spese di dottori e ospedali. E’ giusto, questo? 2) «Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione. Il punto è: il lavoro è ciò che ti dà la pensione. … vi stiamo chiedendo di lavorare di più, perché questo vi premia». Il modello contributivo, che era già stato introdotto e con questo governo diventa totalizzante, di fatto aggancia la pensione a quanto uno ha lavorato e percepito lungo l’intero arco della carriera. Con la flessibilità dei contratti, però, il lavoro diventa un campo minato privo di certezze e lunghe durate. Questo induce ad un affannosa ricerca di impieghi, anche sommati uno sull’altro, pur di accumulare crediti pensionistici. Non è davvero più vita, ma schiavitù legalizzata. Si vivrà per lavorare, e non viceversa. 3) «Se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo». La Fornero pensa a bloccare prepensionamenti e assicurarsi che le aziende tengano alle proprie dipendenze ultrassessantenni fino al 70mo anno di età prefigurando una paga calante con l’anzianità. Sei vecchio ma la tua esperienza e i tuo meriti non contano: devi sgobbare fino all’ultimo e per di più con una retribuzione minore, perché così conviene alle imprese e allo Stato. 4) «Io vedrei bene un contratto unico, che includa le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il solito segmento iperprotetto». La ministro, che almeno ha il pregio della chiarezza, dice apertamente che l’operazione di maquillage che prevede la riduzione della giungla di contratti atipici in una sola forma contrattuale avverrà in cambio dell’abbattimento dell’ostacolo noto come articolo 18. In poche parole, via libera al licenziamento libero. Il lavoratore diventa definitivamente una variabile economica, una merce da usare e buttare via quando non serve più ai profitti. 5) «Non ce lo possiamo più permettere». Può essere presa come la frase-manifesto, che racchiude la filosofia di questo esecutivo etero diretto dalla Bce e dalle banche internazionali. Il bilancio dello Stato, gli indicatori economici, il sistema pensionistico, il diritto e la politica: non devono essere al nostro servizio, delle persone in carne e ossa e della comunità concreta. Dobbiamo essere noi, dev’essere la nostra vita a piegarsi alle esigenze contabili e finanziarie. I numeri diventano i padroni assoluti dei bisogni, dei sogni, delle fatiche della gente. I sentimenti, la storia, i progetti, il sangue e  il sudore non contano nulla, di fronte alla volontà sacra e incontestabile del denaro. Viviamo in un incubo partorito dalla mente di un economista.
Alessio Mannino
www.ilribelle.com 20 dicembre 2011

venerdì 16 dicembre 2011

Un libro per tutti e per nessuno

Il giornale online che dirigo, La Nuova Vicenza, è partito, e per essere appena agli inizi sta andando molto bene. Preso dai preparativi e dallo sprint dell’esordio, ho dovuto trascurare un po’ questo blog. Ma c’è stato anche un altro motivo per cui mi sono dato alla latitanza: ho finalmente ultimato il libro cominciato quest’estate.
Un po’ per pigrizia, un po’ perché mi piace meditarci sopra a quello che scrivo, e infine per la priorità che andava alla nuova mia nuova creatura, c’ho messo più di quel che credessi. Ora manca solo la limatura finale, le note e le ultime cose da riguardare.
Sarà un diario giornalistico dell’anno che sta per finire. Una selezione dei fatti che mi hanno offerto la possibilità di riflettere su alcuni grandi problemi del nostro tempo. In altre parole, vorrei dare il mio piccolo contributo al dibattito intellettuale, almeno in quella ristretta ma molto qualificata cerchia di persone che in quest’Italia di bande contrapposte non si fanno inquadrare in un gregge.
Una specie di zibaldone con la rielaborazione di parecchi articoli e spunti che ho disseminato qua e là in questi anni. Magari fregherà a pochi. Meglio pochi ma buoni, però. Appena ho altre notizie, per chi di voi è interessato, vi faccio sapere.
Intanto, a Natale invece di regalare cazzate, regalate un abbonamento alla Voce del Ribelle. (a.m.)

martedì 13 dicembre 2011

Sindacati amici del giaguaro

Ieri c'erano mille buone ragioni per scioperare contro questo governo di banchieri. Ma, anche volendo lasciar stare il fatto che lo sciopero limitato ad una sola giornata o addirittura a poche ore, pur essendo "generale", si riduce ad un atto simbolico di pura testimonianza, non aver messo nell'agenda della protesta una critica netta e senza sconti allo strapotere delle banche mi ha confermato nella mia idea: i sindacati confederali sono parte del sistema (si salva in parte la Fiom, ma solo per la combattività - ideologicamente è ferma alla mitologia dell sviluppo industrialista, della crescita come panacea per l'occupazione, e ignora completamente la convergenza d'interessi fra precario sfruttato e autonomo, imprenditore o commerciante che sia, precarizzato dallo strozzo bancario). Per questo non ho scioperato: non mi presto alla farse, per giunta in combutta con l'avversario. Leggete qui sotto un mio pezzo dell'altro giorno per capire perchè. (a.m.)

Sindacati, sciopero filo-bancario

Lunedì 12 dicembre ci sarà uno sciopero generale di tre ore dei sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil contro il "decreto salva-Italia" di Monti. Non chiamatelo unitario, per carità, altrimenti la segretaria cislina del Veneto, Franca Porto, vi fulmina: ci tiene moltissimo a rimarcare le differenze ideologiche con i colleghi cigiellini. In ogni caso, a Vicenza i tre segretari locali, Marina Bergamin (Cgil), Riccardo Dal Lago (Uil) e Gianfranco Refosco (Cisl), saranno i protagonisti di una giornata di protesta che dalle 16 alle 18 culminerà in tre manifestazioni in piazza: a Vicenza, davanti alla prefettura, a Schio e a Bassano. I sindacalisti se la prendono con l'iniquità della manovra del governo, che colpisce i soliti tartassati, lavoratori e pensionati.
C'è da segnalare una singolare omissione, però. Se la prendono con l'ingiustizia sociale, e si capisce: fanno il loro mestiere. Sull'ingiustizia degli aiuti alle banche, tuttavia, non una parola. La finanziaria, infatti, prevede tre misure scopertamente filo-bancarie. Uno: abbassamento della soglia di uso del denaro contante da 2500 a 1000 euro, che significa più commissioni e meno costi di gestione della liquidità per gli istituti di credito. Due: obbligo di transazione elettronica oltre i 500 euro per gli enti statali e la pubblica amministrazione (ad esempio, per erogare le pensioni). Tre: copertura dei passivi bancari garantita dallo Stato. E' vero che il sistema bancario italiano è meno "tossico" di quello americano o di altri europei, ma il messaggio politico è devastante: le banche all'origine della crisi non solo non vengono toccate, ma addirittura premiate e arricchite.
Dal sindacato ci si aspetterebbe almeno un accenno di critica. Invece niente. Anzi, confondendo la lotta all'evasione con la completa finanziarizzazione, fanno a gara ad essere più realisti del re e propongono di ridurre il limite massimo del cash ad appena 500 euro (lo Stato che ci sta a fare, se non riesce più a contrastare evasori, riciclatori e corruttori?). Se invoca la patrimoniale, la Triplice sindacale dovrebbe quanto meno porsi il problema di avanzare qualche proposta per rendere più sociale ed equo il servizio bancario. O no?  
Alessio Mannino
www.nuovavicenza.it 10 dicembre 2011

giovedì 8 dicembre 2011

Il decreto ammazza-Italia

Ma al netto dei fiumi d’inchiostro e ore di infotainment, in cosa consiste la finanziaria firmata dal governo della finanza? In pochi punti, ecco perché le lacrime della Fornero, terrificanti non perché finte ma al contrario perché vere, per un’agghiacciante buona fede da macellaia sociale, si trasformeranno nel sangue di tutti noi.
Tasse sulle case (aumento del 60% del moltiplicatore dei valori catastali, aumento delle aliquote, nuova Ici ribattezzata Imu sulla prima casa): è il de profundis sul piano casa e sull’edilizia, che in un’economia sviluppista come la nostra è, ahinoi, il tradizionale volano della ripresa. Tradotto: recessione.
Aumento dell’Iva di due punti al 23% nella seconda parte del 2012, cioè meno consumi e uno svantaggio soprattutto per i redditi più bassi. Tradotto: recessione.
Pensioni: risibile adeguamento all’inflazione (solo per le pensioni più povere), metodo contributivo per tutti (cioè i giovani in pensione non ci andranno o mai, oppure con un misero assegno sociale), innalzamento dell’età pensionabile (in pratica andremo in pensione a 70 anni). Traduzione: schiavitù.
Taglio del personale politico delle Province, ridotte a enti intermedi con una rappresentanza non elettiva, e nessuna scure su altri carrozzoni e sprechi della macchina pubblica. Risparmio minimo: 400 milioni di euro. Traduzione: specchietto per le allodole per dare un contentino al popolo bue.
Misure a favore delle banche: soglia del contante da 2500 a 1000 euro (più commissioni, meno costi di gestione),  obbligo di transazione elettronica oltre i 500 euro per la pubblica amministrazione (ad esempio, per erogare le pensioni), garanzia statale sui debiti degli istituti in passivo (emissioni obbligazionarie). Traduzione: i colpevoli della crisi vengono premiati anziché puniti, alla faccia dei sacrifici che deve subire la gente che vive di lavoro.
Il decreto “salva-Italia” è in realtà l’obbedisco ai mercati che hanno sostituito i cittadini come legittimi sovrani del potere politico in Italia e in Europa. Esemplare nel suo essere grottesco è il botta e risposta fra il premier Monti e un untuosissimo Vespa, subito convertito al nuovo corso, nell’intervista di martedì 6 dicembre: al giornalista di corte che gli chiedeva chi si mai si celasse dietro l’uomo nero dei mercati internazionali, l’economista trilateral-bilderberghiano ha risposto evocando fondi sovrani cinesi, fondi pensione canadesi e sì, anche speculatori, ma i mercati, per amor di dio, non vanno demonizzati ma domati. Se questi agenti che obbiettivamente si comportano come nemici stranieri si rifanno sulla carne viva del popolo italiano, be’, chi se ne importa, sono déi intoccabili e vanno assecondati, lusingati, vezzeggiati. Scrive acutamente Marco Della Luna che la strategia di dissanguamento ha scopi precisi: «svalutare gli asset per poterne fare incetta a costi stracciati col denaro prodotto da banche centrali e dark pool (il circuito delle grandi banche mondiali che controllano anche la Fed e che ha lasciato recentemente a secco le banche italiane, come strumento di pressione o meglio coercizione politica); impadronirsi di tutto il reddito disponibile; rendere la popolazione docile e sottomessa; piegarla a un nuovo assetto politico, fiscale, sociale, con cessione della gestione del bilancio e del fisco a organismi europei a guida tecno-tedesca (Italia colonia)». Dove si potrebbero andare a prendere, invece, risorse se proprio si volesse? Ad esempio dai 60 miliardi di corruzione, dai 90 miliardi di evasione dalle slot-machines, da una parte dei 23 miliardi di spese militari come quelle in missioni di guerra e di occupazione per conto Onu e Nato cioè Usa, da una fetta dei 35 miliardi di costi della politica, dai 70 attribuiti al business del crimine organizzato. Ma tanto è inutile: siamo governati da una cricca eterodiretta dalle Borse, dalla plutocrazia americana, dalle banche anglosassoni e franco-tedesche, e dalla Germania.
Alessio Mannino
www.ilribelle.com 7 dicembre 2011

mercoledì 7 dicembre 2011

A modo mio

Caro Alessio, ho saputo che domani inaugurerà il suo nuovo giornale on line. Bene, son contento per lei. Apprezzo la sua onestà di pensiero anche se spesso non concordo con le sue tesi. Una domanda: sarà una specie di Fatto Quotidiano alla vicentina? Non crede che oramai essere antiberlusconiani  non abbia più senso? Berto

Caro Berto,
prima di tutto: perché non si firma con nome e cognome? La ringrazio, in ogni caso, delle felicitazioni: anch’io come tutti ho bisogno di lavorare per vivere (ma non il contrario, come troppi fanno, specialmente qui in Veneto). Vengo alla risposta. Non è il primo che mi suggerisce il paragone con il giornale diretto da Padellaro. Ma le dico che no, non sarà un Fatto in piccolo. Anzitutto, per il motivo tecnico che la Nuova Vicenza sarà un giornale da leggere esclusivamente su internet. Ma soprattutto perché, pur io stimando il piglio battagliero e l’indipendenza della testata antiberlusconiana, cercherò di non appiattirmi su una sensibilità troppo ancorata a sinistra (nonostante Travaglio pensi a correggere parzialmente il tiro, da uomo di destra qual è). Padellaro, Colombo, Flores d’Arcais: tutti revenants di sinistra. Lei ha ragione: in declino il berlusconismo (era ora), l’antiberlusconismo in servizio permanente effettivo non ha più ragione d’esistere. Ora il nostro problema è il commissariamento dell’Italia da parte dell’Europa dei banchieri. Mi domando: dove sono finiti gli indignati? Non s’indignano più se al governo c’è un robot della finanza internazionale come Mario Monti, che ci spellerà vivi per accontentare i suoi mandanti?
Tornando al mio nuovo giornale che sarà disponibile in rete da venerdì (stasera e domani solo un’anteprima), posso garantirle che rifletterà il mio approccio di sempre: nessuna preclusione faziosa, perché non avremo una fazione da difendere a priori. Perciò neppure chiuderemo occhi o faremo sconti. Cercheremo di essere liberi. Semplice, benché vasto programma. (a.m.)

domenica 4 dicembre 2011

Zolo: “Ecco il Nuovo Ordine Mondiale”

Nel nostro colloquio con il giurista e filosofo del diritto Danilo Zolo, continuiamo le nostre indagini sulle idee per la Transizione, piccoli avviamenti a pensieri capaci di immaginare il futuro, particolarmente suggestivi nel momento in cui vogliamo uscire dalla gabbia delle idee troppo legate al XX secolo: la solita destra-sinistra, le isole culturali incomunicanti, gli scontri di civiltà, il mercato delle idee funzionale alle ideologie dell'accumulazione, sullo sfondo delle possibilità autodistruttive della nostra specie. Questo colloquio è parte dello sforzo di conoscere menti creative, libri davvero originali, pensieri diversi in vista di un cambiamento difficile.
1. Nel suo ultimo libro (Sulla paura. Fragilità, aggressività, potere) lei sostiene che vi sia un intimo rapporto fra potere globale (essenzialmente anglo-americano) e reazioni terroristiche di matrice islamica. Senza giustificare mai la violenza lei fa comunque intendere che il terrorismo internazionale è l’esito, drammatico e prevedibile, della paura diffusa fra le popolazioni soggette da decenni all’occupazione militare delle potenze occidentali. Potrebbe spiegarci questo legame fra la paura e il terrore?
In Occidente si è diffusa l’idea che il terrorismo islamico esprima la volontà di annientare la civiltà occidentale assieme ai suoi valori fondamentali: la libertà, la democrazia, lo Stato di diritto, l’economia di mercato. La figura del terrorista suicida, affermatasi soprattutto in Palestina, sarebbe l’espressione emblematica dell’irrazionalità, del fanatismo e del nichilismo terrorista. Al fondo del terrorismo islamico ci sarebbe esclusivamente l’odio teologico dei mujahidin contro l’Occidente, diffuso dalle scuole coraniche. A mio parere si tratta di tesi molto dubbie, come risulta da analisi rigorose della tradizione coranica e in generale della cultura arabo-islamica. Come hanno accertato le ricerche empiriche di Robert Pape, la ragione determinante nella genesi del terrorismo non è il fondamentalismo religioso: si tratta in realtà, nella grande maggioranza dei casi, di una risposta collettiva a ciò che viene percepito come uno stato di occupazione militare del proprio paese. E per “occupazione militare” si intende non solo e non tanto la conquista del territorio da parte di truppe nemiche, quanto la presenza invasiva e la pressione ideologica di una potenza straniera che si propone di trasformare in radice le strutture sociali, economiche e politiche del paese occupato con la forza.
2. Mentre l’Europa è sotto l’attacco della speculazione finanziaria e la nostra attenzione è catturata dalla crisi dei debiti sovrani, arrivano notizie circa un prossimo conflitto armato tra Israele e Iran. Pensa che ci siano ancora i margini di manovra per evitare questa tremenda collisione? Come si può mobilitare l’opinione pubblica prima di uno scoppio delle ostilità?
La mia opinione, per quello che può valere, è che la politica estera dello Stato di Israele dipende solo in minima parte dalla volontà dei governi europei. Il potere di decidere è nelle mani degli Stati Uniti, che ormai da tempo non sono soltanto custodi dell’integrità dello Stato di Israele e suoi lauti finanziatori, ma sono anche i suoi alleati nell’etnocidio sanguinario del popolo palestinese, come ha provato da ultimo la strage di Gaza. Quanto all’attuale rapporto degli Stati Uniti – e quindi di Israele – con lo Stato iraniano, le opinioni sono disparate e non è agevole analizzare le varie possibilità che negli ultimi mesi si sono profilate. Una cosa però mi sembra certa: l’attuale presidente Barack Obama non pare orientato in questo momento a coinvolgere gli Stati Uniti in una ennesima guerra di aggressione, mentre sono già aperti e sanguinanti due fronti: l’Afghanistan e, nonostante le attuali, confuse apparenze, la Libia. Per di più Obama aspira ad essere riconfermato alla presidenza. Si può dunque ritenere certo che per ora Benjamin Netanyahu e i suoi collaboratori si guardano bene dall’usare le armi contro l’Iran.
3. Oggi, in piena coerenza con lo smantellamento del Welfare State avviato dalle politiche neoliberiste negli ultimi vent’anni, registriamo un ulteriore attacco alle condizioni di vita dei ceti medi e popolari. Le manovre di austerità richieste dalla Commissione Europea e dalla Banca Centrale Europea si abbattono soprattutto sui più deboli, facendo carta straccia delle conquiste raggiunte nel secolo scorso dal movimento dei lavoratori. Se questo è lo scenario che si profila, lei ritiene che abbia senso difendere a tutti costi l’euro e l’attuale conformazione dell’Unione Europea?
L’euro è sicuramente in pericolo. Il «New York Times» ha diffuso una notizia che, se confermata, non può che allarmare: le cento banche più potenti del mondo stanno preparando piani di emergenza in previsione del “crollo” dell’euro. È chiaro che un’eventuale “rottura” dell’area euro comporterebbe gravi difficoltà per l’Unione europea e un suo possibile sfaldamento. E le conseguenze più gravi sarebbero a carico non della classe capitalistica ma dei ceti medi e popolari. Quale atteggiamento possiamo assumere di fronte a questa eventualità? La sola cosa che mi sento di affermare è che l’Europa si troverebbe di fronte al rischio non solo di disintegrarsi sul terreno economico-finanziario, ma anche di compromettere definitivamente la sua identità politico-culturale. Già oggi l’Europa si trova in una condizione di estrema frammentazione in quanto “società civile”: manca una lingua comune, mancano emittenti radiofoniche e televisive europee, mancano movimenti, associazioni civili, sindacati, partiti politici su scala europea. In poche parole, l’Europa senza euro perderebbe totalmente il profilo di soggetto politico internazionale per assumere definitivamente quello di appendice dell’impero atlantico, alle dipendenze degli Stati Uniti e della NATO.
4. Ciò che sta accadendo al sistema democratico italiano, sotto la pressione dei grandi gruppi di interesse europei e internazionali, non si configura come una vera e propria violazione della Costituzione Italiana? Quali possibilità abbiamo, sul piano giuridico, per far valere la sovranità italiana?
Se per democrazia intendiamo un regime nel quale la maggioranza dei cittadini è in grado di controllare i meccanismi della decisione politica e di condizionare i processi decisionali, allora non ci possono essere dubbi che non solo in Italia ma nell’Occidente intero oggi la democrazia è in grave crisi. E la crisi si è fatta sempre più grave con l’affermarsi del processo di globalizzazione che ha impedito lo sviluppo e la diffusione dei diritti umani fondamentali, a cominciare dal diritto alla vita. Come Leslie Sklair ha sostenuto e Luciano Gallino ha documentato, le democrazie operano ormai come dei regimi dominati dalla cosiddetta “nuova classe capitalistica transnazionale”. L’esercizio del potere è concentrato nelle mani di pochi esperti senza scrupoli e il potere esecutivo – il parlamento è ormai privo di funzioni autonome – si sostituisce a quella che un tempo era la volontà del “popolo sovrano”. In questo contesto, purtroppo, il riferimento alla Costituzione italiana è privo di qualsiasi rilievo politico e giuridico. Basterebbe segnalare la costante, spregiudicata violazione dell’articolo 11 da parte delle autorità politiche italiane, a cominciare dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha recentemente giustificato apertis verbis la guerra di aggressione decisa dal governo italiano contro la Libia.
5. Infine, per molti il concetto di Nuovo Ordine Mondiale è diventato il sinonimo di una sovversione su scala planetaria perseguita dalle élite legate a Washington e a Londra con l’intento di assoggettare il mondo intero. Esiste secondo lei la possibilità di un ordine planetario democratico che trovi un equilibrio istituzionale non imperiale e salvaguardi le differenze?
Il mio punto di vista è molto semplice. Oggi non esiste la minima possibilità che si affermi un Nuovo Ordine Mondiale in un contesto di pace universale e di rispetto del diritto e delle istituzioni internazionali. Nell’ambito del processo di globalizzazione la guerra di aggressione è stata legalizzata e “normalizzata” come una “guerra giusta”. Le grandi potenze occidentali – anzitutto gli Stati Uniti -- hanno dichiarato di voler usare la guerra come uno strumento essenziale per diffondere i diritti umani e la democrazia in tutto il mondo. In realtà la produzione, il traffico e l’uso delle armi da guerra oggi è del tutto fuori dal controllo della cosiddetta “comunità internazionale” e delle sue istituzioni. E l’uso delle armi dipende dalla “decisione di uccidere” che viene presa da autorità statali e non statali secondo le loro convenienze strategiche, di carattere non solo politico ma anche e soprattutto di carattere economico. Sentenze di morte collettiva sono state emesse al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria contro migliaia di persone non responsabili di alcun illecito penale, né di alcuna colpa morale: si pensi alle guerre contro l’Iraq, la Serbia, l’Afghanistan, il Libano, la Libia. E nel solco della globalizzazione il tramonto dei diritti umani e della democrazia coincide ormai con il tramonto della solidarietà e del dialogo con le altre civiltà, con poveri e i “diversi”. È un tramonto globale che oscura il nobile sogno di Norberto Bobbio: il sogno di un mondo unificato, pacificato e governato da una autorità sovranazionale, garante di un “ordine planetario democratico”. 
1 dicembre www.megachip.info

sabato 3 dicembre 2011

I veri mostri

Mentre a Vicenza si inscena la farsa del parlamento padano, da una parte coi leghisti che si reinventano una verginità da oppositori senza avere più nessuna credibilità, e dall’altra coi disobbedienti locali che reiterano stancamente il riflesso condizionato della contestazione per dimostrare di esistere, in Veneto ci sono ben altri buchi neri. Ieri la conferenza dei servizi per il mega centro commerciale Veneto City in provincia di Venezia ha siglato l’accordo definitivo che chiude la fase preliminare e passa la palla ai consigli comunali dei municipi interessati, Dolo e Pianiga, per arrivare infine sul tavolo del governatore Zaia per la firma finale. Il progetto dell’archistar Mario Cuccinella (lo stesso del Green Way-Pp10 2 qui a Vicenza) sarà sottoposto alla valutazione strategica Vas solo nella fase progettuale vera e propria, e ora, a meno di imprevisti, le maggioranze di centrodestra dei due Comuni blinderanno il piano con tanti saluti al pur agguerrito Comitato del No che si è visto cestinare gran parte delle osservazioni tecniche (quelle accolte sono poca roba, come riporta oggi il Corriere del Veneto: limite d’altezza massimo 80 metri, nessun stravolgimento della viabilità nelle zone limitrofe come Mirano).
Mostri come Veneto City sono veri problemi, e i motivi li avevo spiegati qui. Perché a pagarli, poi, è il territorio, affogato nel cemento, e la gente che lo abita, che, facendo corna, magari affoga negli alluvioni. (a.m.)

venerdì 2 dicembre 2011

Calearo senza vergogna

La sapete l’ultima? E di chi? Ma di chi se non dell’ex presidente degli industriali Vicenza, ex numero uno di Federmeccanica (quando a capo di Confindustria c’era quell’intrigante di Montezemolo), eletto nel Pd in quota Veltroni, ex Api di Rutelli, già consigliere di Berlusconi per l’export, deputato con Scilipoti & co, lui, l’imprenditore con l’antenna sempre sintonizzata sul segnale per stare a galla, Massimo Calearo Ciman? Il fustigatore della casta, quello che invocava gli scioperi fiscali contro le tasse troppo alte, il probo esempio vivente di ceto produttivo prestato alla politica, eccolo che si distingue nella penosa rivolta dei peones parlamentari contro il taglio dei vitalizi, l’unica cosa buona che a quanto pare farà il governo della finanza internazionale. Sentitelo, lo statista: «A me della pensione non frega niente, ma l'operazione deve iniziare dal 1945, perché chi propone i tagli è in Parlamento da decenni...» (Corriere della Sera, 1 dicembre 2011). Capito il concetto? Se si devono toccare i diritti acquisiti, allora bisognerebbe farlo retroattivamente andando indietro alla preistoria della Repubblica. Un modo per dire: giù le mani dai nostri privilegi. Bene, se io fossi un elettore del Pd, e grazie al cielo non lo sono, ogni volta che m’imbatto nelle dichiarazioni di questo signore che a suo tempo votai, mi sputerei in faccia. (a.m.)

giovedì 1 dicembre 2011

La Nuova Vicenza, il mio nuovo giornale

La settimana prossima comincia la mia nuova avventura giornalistica. Si chiamerà La Nuova Vicenza, come il settimanale, e successivamente quotidiano, che negli anni ’80 diede del filo da torcere all’onnipotente Giornale di Vicenza. L’impresa che mi accingo a dirigere non ha velleitarismi concorrenziali verso la corazzata dominante in città: giocherà una partita diversa, sulla piattaforma fluida del web e puntando esclusivamente all’approfondimento, anche quotidiano.
Vi invito tutti alla presentazione che farò mercoledì 7 dicembre alle ore 18 al Bar Borsa in Basilica Palladiana. E soprattutto, a seguirmi sulle pagine di www.nuovavicenza.it a partire dal 7 e dal 9 dicembre, giorno della prima uscita vera e propria. (a.m.)