Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

lunedì 15 ottobre 2012

Ricordo di Volpi, vicentino non conforme

La Basilica Palladiana rimessa a nuovo è uno splendore, ed è stato un dovere giustamente adempiuto dal sindaco Variati e dal suo predecessore Hullweck l’averla restituita in tutta la sua ieratica monumentalità ai vicentini e al mondo. Sulla mostra targata Goldin abbiamo aperto una discussione libera e franca su questo giornale online, prendendoci la briga di sentire l’opinione di esperti del calibro di Lionello Puppi, la massima autorità riconosciuta su Palladio. E dopo quelle di Dato e Floreani, altre ne seguiranno, pro o contro non importa – l’importante è non farsi sommergere da certa untuosa retorica, che col suo unanimismo danneggia la rinascita del simbolo di Vicenza. Pur contenti per la sua rinnovata magnificenza, non ci uniamo al coro dei bollettini promozionali.
Ma in occasione di questa festa della città, vorremmo tenerci alla larga dalle polemiche politiche, che pure danno da pensare sul livello di scontro fra le fazioni (gravissimo e grottesco l’Aventino della giunta che diserta un dibattito in consiglio, a prescindere dal ridicolo manifesto del Pdl sull’omicidio in Campo Marzo: è questo il rispetto delle istituzioni tanto sacro al centrosinistra? Poletto bacchetta timido, Peroni come al solito sceglie di non disturbare, e registriamo che la Lega, col tosiano Rigon sul Corveneto di ieri, dà prova della sua doroteizzazione scandalizzandosi per la «provocazione e le reazioni troppo forti»: che pena). Oggi, sulla scia di un “Quaderno” dell’Accademia Olimpica presentato in questi giorni alla sua memoria, voglio ricordare un vero uomo di cultura: Franco Volpi.
Morì il 14 aprile di quattro anni fa per un casuale incidente stradale mentre andava in bici. Una morte senza senso – ammesso che ne esista una che lo abbia. Quella mancanza di significato che Volpi approfondì in un’opera per me formativa, un libro che lo aveva consacrato come il principale divulgatore italiano della corrente filosofica di cui tutti noi Occidentali siamo involontari discepoli: “Il nichilismo” (Laterza, 1999). Lo apriva così: «L’uomo contemporaneo versa in una situazione di incertezza e precarietà. La sua condizione è simile a quella di un viandante che per lungo tempo ha camminato su una superficie ghiacciata, ma che con il disgelo avverte che la banchisa si mette in movimento e va spezzandosi in mille lastroni» (pag. 3). L’immagine del viandante dal passo incerto, ripresa da Nietzsche teorico e profeta nichilista, non aveva per Volpi un’accezione negativa, tutt’altro. Scriveva in chiusa: «Il nichilismo ha corroso le verità e indebolito le religioni; ma anche dissolto i dogmatismi e fatto cadere le ideologie, insegnandoci così a mantenere quella ragionevole prudenza del pensiero… che ci rende capaci di navigare a vista» (pag. 117). Di qui, nell’ultimo articolo su Repubblica, la sua difesa del nichilismo nicciano dall’accusa di “relativismo morale” fatta da Ratzinger. A tu per tu niente meno con il Papa, anzi contro il Papa. Dal punto di vista strettamente teoretico, il professore vicentino di filosofia ebbe il merito di dare la valenza più realistica al nichilismo come continuazione e compimento dell’illuminismo indagatore e iconoclasta (sempre Nietzsche: «l’uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l’origine; conosce abbastanza per non credere più in nessun valore; ecco il pathos, il nuovo brivido… Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli…», pag. 4). Solo che a Volpi, dotto poliglotta e cosmopolita, la funzione svelatrice, scettica e, secondo lui, amabilmente distaccata della “filosofia del martello” seguitava ad andar bene come pars destruens illuminata e razionalistica – come se Nietzsche fosse Voltaire. Aveva una visione, diciamo, idilliaca e storicamente un po’ superata. Illuminista, appunto.
Come scrissi nel 2009, resterò sempre col rimorso di non aver sfruttato la disponibilità che egli mi aveva dato due anni prima, dopo avermi rilasciato la sua ultima intervista ad un giornale locale. «Sa, purtroppo dopo il liceo ho dovuto abbandonare la filosofia, ma è un campo che mi piacerebbe sempre coltivare», gli confessai. E lui, il docente super impegnato e di fama mondiale, il conferenziere e visiting professor, che ora era a casa sua, una settimana prima era stato in Germania, quella dopo volava in Sudamerica, e nel frattempo doveva preparare un articolo e correggere non so più quali bozze, mi rispose con naturalezza: «Ma se vuole ogni tanto potremmo parlarne insieme, mi chiami». Il pigafettino Volpi si sentiva poco o punto vicentino. Me lo rivelò senza perifrasi, con pratica sincerità, proprio quel giorno: «La mia dimensione è un’altra, vivo qui per una bieca ragione di comodità, trasferirmi in una grande città come Milano o Roma costerebbe troppo». Una cittadina, quella che gli diede i natali, poco generosa con lui: «Tranne sporadici eventi come la commemorazione di quest’anno di Faggin, mio insegnante di liceo a cui devo l’amore per la filosofia, qui molte altre occasioni per mettere a frutto le mie competenze non ne ho avute». Con l’unica eccezione, come poi aggiunse, dell’associazione filosofica Dora Marcus, con Paolo Vidali e Giuseppe Barbieri, risalente ai lontani anni ’80. Troppo angusto, lo stagno locale: «Se dovessi andarmene, farei come Orfeo: non mi volterei indietro più di una volta».
Non amava i suoi concittadini: «La città vive ancora in una certa curialità di facciata che non vela più un clima godereccio miserevole», sentenziò. In quelle due ore in cui si fece domandare della sua vita e del suo rapporto con Vicenza, prendeva continuamente in mano, orgoglioso ed entusiasta, il suo ultimo nato, “In margine ad un testo implicito”, l’edizione per Adelphi del misconosciuto aforista Gómez Dávila, un profondissimo nichilista che guariva il suo nichilismo con la fede cristiana cattolica. La tipica ipocrisia berica di matrice clericale: questo costringeva Volpi a tenersi in disparte. «Dávila afferma che la Chiesa a forza di aprire le braccia al mondo ha finito con l’aprire anche le gambe. Ecco, al cattolicesimo elettorale che strizza l’occhio alle moltitudini, preferisco la conversione solitaria. Anche se ormai non siamo più la sacrestia ma la lap dance d’Italia». Un vicentino solitario fra i vicentini, il sensibile e acuto Volpi. Ci piace ricordarlo anche e soprattutto per questo.
Alessio Mannino
www.nuovavicenza.it 7 ottobre 2012