Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

giovedì 13 giugno 2013

I tre equivoci dei 5 Stelle


Più passa il tempo, più il Movimento 5 Stelle si incarta e si avvita su equivoci irrisolti. Magagne di fondo, non occasionali. Non parliamo di scivoloni o gaffes, che in una forza in costruzione, piena di energie nuove e perciò alla lettera dilettantesche, si possono comprendere (ma non giustificare). Stiamo parlando di ambiguità concettuali e vuoti di visione, nel pensiero e nell’organizzazione. Problemi strutturali, che se non verranno affrontati ne mineranno la tenuta e la linea col rischio dell’implosione. 
  • Grillo-grillini. Nel mio piccolo, lo scrivo da tempi non sospetti: un conto è Grillo (e dietro di lui Casaleggio), un altro la base, eletti compresi. Il mattatore ha il carattere e la vis polemica del tribuno rivoluzionario, che non fa sconti e non usa riguardi (neppure al simulacro della democrazia rappresentativa, il parlamento). Il tandem con Casaleggio funziona come un rullo compressore macinando nemici e bersagli con una foga di distruzione palingenetica, soprattutto nel linguaggio - più che nei contenuti. Ma funziona, nell’ottica di dare al movimento un’identità chiara di unico soggetto alternativo ai partiti dell’arco costituzionale. Gli attivisti, i consiglieri nei Comuni e nelle Regioni, i parlamentari sono mediamente una truppa spaurita di chierichetti che seguono fiduciosi la parola del loro mentore, ma senza capirne tutte le implicazioni e senza riuscire a far propria la sistematica operazione di abbattimento di feticci, luoghi comuni e manichini che anche a loro ballano ancora in testa. Provenendo in gran parte da sinistra - ma con quelli che vengono da destra non va certo meglio - i grillini sono bloccati da tabù, idee fisse e ingenuità che li rendono politicamente molte spanne al di sotto di Grillo. Il difetto è umano e ideologico: non hanno, o non si sono ancora formati una fibra abbastanza forte, una mentalità abbastanza dura e una cultura di fondo abbastanza alternativa per stargli al passo (basta vedere l’ultimo caso, la senatrice dissidente che incolpa Grillo invece di constatare l’ovvio, e cioè che il movimento sul territorio è etereo, evanescente, disastrosamente web-dipendente). Lui alza i toni, loro li abbassano. Lui serra i ranghi, qualcuno sguscia via trasferendosi nel gruppo misto, o mugugna sentendosi a disagio. O Grillo si ficca in testa che deve formare e selezionare i suoi ufficiali, o assisterà a rovinose cadute nel suo brancaleonesco esercito. 
  • Pensiero forte-pensiero debole. La cacca pestata sui prestiti Bce di cui ha parlato su questo giornale online Federico Zamboni dà l’idea che grande è la confusione sotto il cielo del blog. Confusione non più accettabile. Grillo non può più permettersi sfondoni che oggettivamente lo rendono complice della frode ideologica che ci costringe alla catena dell’Eurocrazia (corretto termine usato pure dall’opinionista principe del blog, Paolo Becchi). Come minimo, si è scordato quanto ha scritto per lungo tempo su Mes, Bce e dintorni uno degli spin doctor assoldati per educare ai media i suoi parlamentari, ovvero Claudio Messora. È l’ultimo e più grave episodio dell’inconsistenza teorica e analitica di un movimento che, se da una parte ha ben congegnato e condotto una strategia politica e di marketing elettorale, dall’altra mostra i segni di una castrante inadeguatezza di pensiero. Finora Grillo e Casaleggio sono andati a braccio sui fondamentali. Non è più possibile né ammissibile. O si dotano di una visione coerente coi loro stessi presupposti di cambiamento radicale, o bisogna trarne la conclusione che il loro radicalismo finisce con l’auspicio di una gestione puritana dell’esistente. Il calvinismo culturale lasciamolo agli anglossassoni, a noi interessa ripensare tutto a partire dalla Costituzione, dall’Europa, dall’economia. Ma per ripensare occorre pensare, e qui siamo al pensiero debole. Troppo debole, ormai. E la debolezza strutturale (mancano proprio le basi, a tanti “cittadini-portavoce”) si rovescia in una sindrome da fortino assediato (i media tutti cattivi) resa ancor più odiosa da un atteggiamento di superiorità (noi unici depositari dell’onestà e della verità) che paralizza il senso critico e autocritico. Brutta china.  
  • Partiti-politica. Non è raro sentire il grillino medio sostenere che lui non è un politico, perché estraneo e allergico ai partiti. Facciamo presente al nostro cittadino consapevole che non è consapevole di un fatto molto semplice ed elementare: chi si occupa della cosa pubblica in qualsiasi forma, fa politica. Essere un politico, nell’accezione corrente e screditata del termine, non va confuso con fare politica, che è diritto e dovere di ciascun membro della comunità. Prendere le distanze financo antropologicamente dall’uomo di partito in quest’epoca senza qualità, quello un po’ pecorone e credulone, va benissimo, ma la politica è cosa nobile e seria. L’eletto grillino usa questo argomento fallace per dire no a qualsivoglia rapporto con le altre forze. Orbene: una volta che si è dentro il gioco, è necessario giocare. Con spregiudicatezza. In questa fase, con le schiere raffazzonate e nel pallone, che si limitano a sputar fuori proposte di legge anche giuste e interessanti ma con l’animo di chi fa il suo bravo compitino, senza capire un’acca del compito del movimento che è – dovrebbe essere - la distruzione creatrice, Grillo sta facendo opera di compattamento trincerando i suoi in un massimalismo obbiettivamente indispensabile. Ma un domani, proprio con lo scopo di scompaginare le file altrui e muoversi da guastatori del sistema, nulla vieta di illudere gli avversari facendo loro credere di essere istituzionalizzabili, cercando una sponda ora qua ora là. Per l’azzardo e la guerra di corsa, tuttavia, servono uomini capaci e disposti a combattere battendo bandiera pirata. Poi uno vede Vito Crimi e Roberta Lombardi annegare negli autogol, e gli vien voglia di buttare una scialuppa di salvataggio. Altro che pirati. Altro che rivoluzione.
Alessio Mannino
www.ilribelle.com 12 giugno 2013