Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

venerdì 8 gennaio 2016

Archiloco, a rebel without a cause

Archiloco di Paro (680 a.C. circa – 645 a.C. circa). Discendente di una distinta schiatta aristocratica, era un bastardo nato da una schiava. Crebbe nella miseria e per guadagnarsi il pane si arruolò come mercenario. Era dunque figlio di due diversi ambienti sociali, in una sorta di personalità doppia. Gli ideali cavallereschi li aveva nel sangue, così come l'istinto a sfidarne i titolari di casta. Il fatto di non essere radicato in alcun posto, da soldato di ventura quale scelse di diventare, fece di lui una personalità capace di crearsi una vita propria. Usava non l’esametro eroico, ma i popolareschi giambo e trocheo, usati per scagliare invettive e cucinare canzonature. Attingeva alla lingua viva, non rifuggendo dalla crudezza e dall’oscenità. Gli alti e bassi del destino di mercenario vengono a rappresentare per lui la legge, il ritmo della vita. Esprimeva quel tipico scetticismo greco verso il divino che tuttavia non sfociava mai in ateismo, perché la divinità é presenza immanente, innegabile come il sole che sorge: «Gli dei, mio diletto, posero come rimedio per i mali incurabili la forza di sopportarli» (10 Diehl). Faceva della massima “niente di troppo” il suo motto, proprio perché sospeso fra gli eccessi, facendo intendere di non disdegnarli. Aveva un carattere estremamente passionale, e difatti fu il primo poeta della storia a rappresentare l'eros come tormentoso groviglio di sensazioni: sensualità, tenerezza, rabbia, delusione. Ruppe coscientemente con tutto ciò che avvertiva come finto e altisonante nella retorica aristocratica e, incurante delle reazioni che suscitava, dichiarò guerra alle deformazioni e degenerazioni dell’aristocrazia, origine che tuttavia non rinnegò mai. La scherniva e vi si ribellava per troppo amore per i suoi nudi valori: lealtà, amicizia, equilibrio, misura. Nel suo verso forse più famoso scrive che è meglio gettare lo scudo, pur di salvare la pelle. “Del mio scudo si fa bello/ uno dei Saii. Presso un cespuglio/ lo dovetti lasciare; e non volevo./ Che bellezza di scudo! Ma salvai/ la pelle. Alla malora/ lo scudo. Un altro/ ne comprerò, migliore”.
Per Nietzsche é «il battagliero servitore delle Muse», per Pindaro «amante del biasimo, che s'ingrassa con l'odio dalle gravi parole», mentre Aristotele scrive: «per quanto maledicente, i concittadini di Paro lo onorarono». Un combattente senza causa ad eccezione della propria.