Io non sono sempre delle mie opinioni. G. Prezzolini

domenica 30 aprile 2017

Il lavoro debilita l’uomo


Da A. Mannino, “Contro la Costituzione”, Circoli Proudhon Edizioni, 2017 (acquistabile cliccando qui)

1.L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. (…) Il suo ideatore è il democristiano (ed ex fascista corporativista) Amintore Fanfani. Manda in orgasmo un po’ tutti, il Lavoro: i liberali filo-capitalisti, perché é il presupposto del profitto; i cattolici, immemori della sua origine espiatoria (l’ingenuo Adamo e l’Eva sedotta dal serpente condannati al “sudore del fronte”), che ne hanno fatto un totem spirituale e s’indignano soltanto se i centri commerciali restano aperti nel domenicale giorno di riposo (salvo riempirli a frotte dopo la Santa Messa); gli allora comunisti e socialisti - oggi ideologicamente passati al nemico, credendosi ancora progressisti come nell’Ottocento per via di tutta quella retorica dei “diritti” avanzati ecc ecc - che si contentarono della formula fanfaniana, più astratta rispetto a quella sovietizzante di “Repubblica di lavoratori” caldeggiata da Togliatti e Nenni (e se ne beano tuttora, i nipotini degeneri, come si fa coi cimeli del passato a cui si tiene per romanticismo un po’ idiota). E persino i fascisti, che ci ritrovarono l’eco dell’articolo 9 del Manifesto di Verona del 1943: «Base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione». Avevano ragione i compagni: tanto valeva più onestamente copiare la Costituzione stalinista del 1936, che all’articolo 12 citava Paolo di Tarso: «Il lavoro in Urss è dovere di ogni cittadino idoneo al lavoro, secondo il principio Chi non lavora non mangia» (povero Marx, sognatore di una società affrancata dal giogo del lavoro alienato, sostituito dal fondatore del bigottismo cristiano). (…) Dalla cacciata dal Paradiso Terrestre in poi (o se si vuole, dalla fine dell’Età dell’Oro), il lavoro è un male necessario. Come ogni male, ha risvolti di bene: il dovere di una giusta fatica, assicurare i servizi per la collettività, e quell’opera di alchimia che è la trasformazione del proprio talento grezzo nel gioiello finito del Sé (i Greci, che la sapevano lunga, usavano a tal proposito la parola poiesis, che richiama la poesia…). Il diritto è semmai un altro: all’ozio. Ora, le 2 ore di lavoro giornaliere proposte da André Gorz (“Travailler duex heures par jour”), le 3 sognate da Paul Lafargue o le 4 teorizzate da Bertrand Russell sono forse poche. Ma 6 ore, come nel recente esperimento svedese, potrebbero essere una buona mediazione. L’ozio è essenziale per il riposo, l’introspezione, la convivialità. Per dimenticare gli affanni. Per isolarci e onorare la nostra interiorità. E per contemplare la Bellezza.